PARIS BORDONE (PARIS PASCALINUS)
APPARIZIONE DELLA SIBILLA ALL’IMPERATORE AUGUSTO
Sul recto è visibile, a destra, dipinto in rosso, il numero di catalogo 623 dell’Ermitage del 1797. Sul verso appare, scritto a mano in nero, il numero di Inventario dell’Ermitage del 1859, 5755.
Il soggetto del quadro si rifà alla storia della Sibilla Tiburtina (Legenda Aurea [1995], Natività di Cristo). L’imperatore Augusto chiese consiglio alla Sibilla quando il senato romano stabilì di celebrare la sua apoteosi o divinizzazione. La Sibilla Tiburtina preannunziò la nascita di un bambino che sarebbe stato più potente di tutti gli dei romani. In quell’istante si spalancarono i cieli e l’imperatore ebbe la visione della Vergine Maria su un altare con il Bambino fra le braccia (Pigler 1974, I, pp. 479-482).
L’imperatore Augusto è raffigurato in ginocchio, al centro del quadro, accanto alla Sibilla che addita il cielo, dove fra le nubi appare la Madonna con il Bambino. A sinistra di Augusto è visibile un fanciullo che regge lo scettro dell’imperatore. Le scene rappresentate nei bassorilievi di sinistra, alla base dell’edificio, vanno probabilmente interpretate come raffigurazioni dei trionfi militari di Augusto.
A metà del XVII secolo, quando il dipinto apparteneva alla collezione del cardinal Mazarino (de Cosnac 1885), era ritenuto opera del Bordone, ma quando passò alla collezione di lord Walpole venne attribuito a Giulio Romano, e una volta giunto all’Ermitage si fece dapprima il nome di Giulio Romano e poi di Baldassare Peruzzi. Con ogni probabilità, il nome di Peruzzi venne proposto per la prima volta da Hand (1827). Intorno al 1960 la tela era ritenuta opera di un anonimo italiano; a stabilire che si trattasse di un’opera del Bordone è stata Fomičeva (Fomičeva 1971), e questa attribuzione, accettata all’unanimità dagli studiosi, è indubbia. Il soggetto del quadro nel corso dei secoli venne interpretato in maniere differenti. Nell’inventario del 1661 della collezione Mazarino è così descritto: «Une perspective de Paris Bourdonnee fait sur toile ou sont representez plusieurs bâtiments, Herode au milieu a genoux auquel la Sybille montre le ciel d’ou sort une Notre-Dame tenant le petit Jesus» (de Cosnac 1885). Meno di un secolo dopo, quando il quadro giunse in Inghilterra, l’interpretazione del soggetto subì una metamorfosi. Il proprietario della tela, lord Horaces Walpole, nella prima edizione di Aedes Walpolianae del 1747, pp. 75-76, scriveva: «About the Year 1525, Julio Romano made Designs for Aretine’s Putana Errante, which the latter was put in Prison, and Julio fled to Mantua. Two Years after Rome was sacked by Charles the 5th, who made Public Processions and Prayers for the Delivery of the Pope [Clement VII.] whom he kept in Prison; ‘tis supposed the Figure kneeling in this Pictures is Charles the 5th, who is prompted by Religion to ask Pardon of the Virgin (above in the Clouds) for having so ill treated the Pope: The Figure sitting on the Steps is certainly Aretine, and the Man in Prison in the Corner Marc Antonio». Con ogni probabilità, la leggenda riportata nella citazione era nata all’interno della famiglia Walpole, e rispondeva allo spirito illuminista che voleva scorgere in ogni cosa il risvolto storico. Si riteneva inoltre che il quadro raffigurasse la Strada Nuova di Genova. Un’interpretazione analoga nel soggetto si riscontra nel primo catalogo manoscritto dell’Ermitage (Cat. Ermitage 1773, dove il quadro prende il nome di «Pièce d’architecture ornée de figures»), che viene sostanzialmente appoggiata anche da Hand (1827). Tuttavia, nei documenti dell’Ermitage del periodo successivo, di questa spiegazione non rimane traccia: nel catalogo manoscritto del 1797 (Cat. Ermitage 1797), il dipinto viene riportato come «Tempio rappresentato in prospettiva, ornato di colonne (Giulio Romano)», e nell’inventario del 1859, come «Prospettiva di tempio, ornata di figure. Dipinto su tela opera di Giulio Romano».
Argomentando la sua attribuzione a Paris Bordone, la Fomičeva indicava giustamente come analogia stilistica la tela Consegna dell’anello al Doge, appartenente alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (inv. 318). Fu lei per prima a identificare il quadro del Museo Puškin con l’opera citata nell’inventario del 1661 della collezione Mazarino a Parigi; questa posizione è condivisa anche da Garas (1987). Ancor prima della Fomičeva, Béguin aveva identificato l’opera con la tela di Antoine Caron Sibilla tiburtina del Louvre (Béguin 1968, p. 202, nota 32). Dall’inventario della collezione Mazarino si deduce che al suo interno si trovavano anche altre prospettive architettoniche di Paris Bordone, in particolare la composizione Marco Curzio, di cui oggi si sono perse le tracce.
Composizioni con sfondi architettonici elaborati fin nei particolari si incontrano ripetutamente nell’opera di Paris Bordone. Oltre alla già citata Consegna dell’anello al Doge si possono ricordare anche due versioni della composizione Bersabea della Kunsthalle di Amburgo (inv. 744) e del Wallraf-Richartz Museum di Colonia (inv. 517; cfr. Mariani Canova 1964, pp. 73, 76-77, fig. 70, 102); nella seconda si vedono edifici simili ai motivi architettonici del quadro del Museo Puškin. Dal punto di vista della concezione complessiva, l’opera somiglia molto al quadro Combattimento di gladiatori, ora al Kunsthistoriches Museum di Vienna (inv. 238; Mariani Canova 1964, pp. 116-117, fig. 142), nel quale, date le piccole dimensioni delle figure, l’architettura assume una particolare espressività (in passato anche quest’opera veniva attribuita a Giulio Romano).
Rispetto agli altri dipinti di questo tipo, nel quadro del Museo Puškin l’architettura dimostra una certa autonomia, trasformandosi nel motivo espressivo dominante dell’opera. L’idea stessa su cui si fonda la costruzione spaziale del quadro, e le caratteristiche dei singoli edifici risalgono a Baldassare Peruzzi e al suo discepolo Sebastiano Serlio, che dal 1527 al 1541 operò a Venezia. Bordone era in stretto contatto con loro ed si avvaleva delle loro opere come modelli. Uno dei disegni di Peruzzi appartenenti alla collezione della Biblioteca Reale di Torino raffigura in prospettiva un gruppo di edifici simili alle costruzioni che si vedono nella zona sinistra del quadro moscovita (inv. 15728, It. 45; cfr. Wurm 1984, p. 3). Tietze-Conrat (1945, p. 55) asseriva che queste prospettive costituivano in realtà delle quinte teatrali. L’idea, tuttavia, giustamente non ha trovato sostegno (Béguin 1968, p. 195; Garas 1987, p. 74). Pallucchini nel catalogo della mostra dell’artista (Paris Bordone 1984) ha fatto l’ipotesi che il quadro appartenesse al periodo del suo soggiorno in Francia, a Fontainebleau, dove tali composizioni avevano molto successo. Attualmente, però, sembra più convincente l’ipotesi che il dipinto sia legato all’operato di Bordone ad Augsburg, dove si recò nel 1540. A riprova di ciò si adducono alcune righe del Vasari tratte dalla Vita di Tiziano, dove parla di Paris Bordone: «un quadrone grande dove in prospettiva mise i cinque ordini d’architettura, che fu opera molto bella; e un altro quadro da camera il quale è appresso al Cardinal d’Augusta» (Vasari-Milanesi 1881, VII, p. 161). Secondo alcuni studiosi il quadro del Museo Puškin sarebbe il « quadrone grande» di cui parla Vasari (Fomičeva 1971), per altri il «quadro da camera», perché rispondente all’interpretazione oggi in uso del tema del quadro moscovita. Il nome «Augustus» viene associato alla denominazione latina della città di Augsburg – Augusta – il cui cardinale aveva commissionato il quadro menzionato dal Vasari (Ekserdjian 1999, p. 52).
Fomičeva datava la tela al 1535, Mariani Canova (1987) al 1539-1540, quando l’artista fece ritorno per breve tempo a Venezia, per poi ripartire alla volta di Augsburg (Augusta). Sebbene la cronologia delle opere di Paris Bordone resti incerta, le datazioni proposte sopra ci sembrano troppo precoci. L’artista lavorò a lungo all’estero, nel 1538 e nel 1559 in Francia, e intorno al 1540 ad Augsburg. Dal punto di vista stilistico il quadro moscovita si inserisce organicamente nella serie delle opere degli anni cinquanta, precedenti l’ultimo viaggio di Bordone in Francia nel 1559. A favore di tale datazione si è già espressa Béguin (1987). Proprio a Venezia Paris Bordone avrebbe potuto eseguire la commissione ricevuta mentre si trovava ad Augsburg; da questo punto di vista, è interessante rilevare che l’artista utilizzò una tela veneziana.
Provenienza: Nel XVII secolo era nella collezione del cardinal Mazarino, a Parigi; allo fine del XVII secolo il dipinto venne portato in Inghilterra dal primo duca di Marlborough, da cui passò al fratello, generale Charles Churchill; questi a sua volta lo donò a sir Robert Walpole, che lo collocò dapprima a Londra (Downing street) e poi nel castello di Houghton Hall a Norfolk; nel 1789 passò all’Ermitage; venne collocato nel Palazzo di Tauride negli appartamenti dell’imperatrice Marija Fëdorovna (nella sala di Toeletta), e poi nella Cancelleria imperiale. Tra il 1859 e il 1915 lasciò l’Ermitage; dagli anni cinquanta lo ritroviamo nella collezione S.V. Obrascov a Mosca, finché nel 1983 viene acquisito dal Museo Puškin.
Materiali d’archivio: Cat. Ermitage 1773, n. 2314 (qui e di seguito: Giulio Romano); Cat. Ermitage 1797, n. 623; Registro Palazzo di Tauride s.d., f. 53; Inv. Ermitage 1859, n. 5755.
Bibliografia: Aedes Walpolianae 1752, p. 84; Hand 1827, pp. 93-95 (Baldassare Peruzzi); Labensky 1838, pp. 467-468, N. 11 (Peruzzi, rilievi simili a Giulio Romano nella maniera di Polidoro); de Cosnac 1885, n. 1312; Vertue 1968, VI, p. 176 (senza autore); Fomichova 1971, pp. 152-155, fig. 45 (qui e di seguito: Bordone); Pigler 1974, I, p. 480; Paris Bordone 1984, pp. 25, 26, ill.; Béguin 1987, pp. 19-20, fig. 19 (qui, compresa Mariani Canova, figura trovarsi nella collezione Obrascov a Mosca); Garas 1987, p. 74; Grabski 1987, p. 205, fig. 3; Mariani Canova 1987, pp. 140, 143, 154, ill.; Markova 1992, pp. 146-147; Cat. Museo Puškin 1995, pp. 84-85, ill.; Mandel 1996, 4, p. 401; Ekserjian 1999, pp. 51-52, fig. 1; Markova 2002, I, pp. 96-99, n. 46; Markova, in A Capital Collection 2002, pp. 108-109, n. 10.