SAN GIROLAMO
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PALMA IL GIOVANE (JACOPO NEGRETTI)

SAN GIROLAMO

1594

olio su tela

109 x 96 cm

Inv.: 1640

Firma a sinistra (su un sasso): JACOBVS PALMA.F.; sul verso della tela si legge: «Trasporté de toile par le soussigne а St. Petеrsbourg en 1826. N. Patallani [o Patellani]»

Eusebio Girolamo Sofronio (342-420) è uno dei quattro Padri occidentali della Chiesa. Il quadro presenta un tipo iconografico del santo molto diffuso che lo raffigura come peccatore penitente nel deserto; ha davanti a sé il Crocifisso, accanto un teschio e una clessidra. Al suo fianco c’è il leone a cui, secondo la leggenda, il santo aveva estratto una spina dalla zampa.

Il quadro del Museo Puškin è da considerarsi la tela che Palma il Giovane aveva eseguito nel 1594 e offerto in dono al duca di Urbino Francesco Maria della Rovere. Appartiene alla storia dell’opera la lettera scritta al duca dall’artista da Venezia il 26 novembre 1594, in cui si legge tra l’altro: «Mandole dunque un San Girolamo, il quale supplico riverentemente che sia gradito da lei come fattura di servitore, che desidera sempre di vivo et devoto cuore mostrarsi vero et officioso osservatore di V.A. Ser.ma ...» (cit. in Gronau 1936, p. 150). Nella lettera di risposta, spedita da Pesaro il 7 gennaio 1595, Francesco Maria della Rovere esprimeva la sua ammirazione per il quadro: «... quest'opera... che si fa conoscere senz'altro testimonio per fattura della man vostra, corrisponde molto bene al nome, che la vostra virtù vi tiene acquistato» (cit. in Gronau 1936, p. 150), e inviò inoltre all’artista 100 scudi. In seguito, nel XVII secolo, Carlo Ridolfi scrisse: «... e il San Girolamo in meditatione pur in folio reale inciso da Henrico Golzio, dedicato al Vittoria, di cui mandò la Pittura al Duca Francesco Maria d'Urbino» (Ridolfi 1648, II, p. 183).

L’artista era strettamente legato alla corte urbinate, e conservò tali rapporti fino alla fine della sua vita. Nel 1564 il duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere insieme al fratello cardinale Giulio e a Francesco Maria della Rovere si recò a Venezia, dove rimase colpito dal talento del giovane pittore e gli commissionò immediatamente un ritratto. Da questo momento Palma si trovò sotto la protezione del duca, lavorò molto per lui e trascorse quasi tre anni ad Urbino, dipingendo copie di opere di Raffaello e Tiziano. Nel 1567 il duca mandò Palma a Roma a perfezionarsi nel disegno; qui l’artista studiò attentamente gli affreschi delle Stanze Vaticane di Raffaello e gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, ed ebbe modo di conoscere l’esperienza dei manieristi. Tornato a Venezia intorno al 1570, all’età di circa venticinque anni, l’artista entrò nella bottega di Tiziano, e dopo la sua morte portò a termine la celebre Pietà (Venezia, Gallerie dell’Accademia), ultima fatica del grande pittore. Per riconoscimento unanime della critica, il San Girolamo appartiene alle migliori opere del periodo maturo dell’attività di Palma il Giovane. Sia la maniera pittorica, sia il colorito in cui domina il rosso accesso dei drappeggi che avvolgono le membra del santo, si rifanno a Tiziano. La possente figura del vegliardo, raffigurata secondo un complesso scorcio prospettico, non rappresenta soltanto un tributo pagato a Michelangelo e ai manieristi romani, ma rispecchia anche, secondo Pallucchini (1981), il suo interesse per la grafica del Parmigianino, le cui opere, presenti nella collezione di Alessandro Vittoria, erano ben note a Venezia. Come giustamente ha rilevato Grassi (1968), nel quadro del San Girolamo Palma anticipa per molti versi il barocco e le soluzioni dinamiche che lo caratterizzano.

L’artista ritornò più volte alla figura di san Girolamo, sia in pittura che nei disegni. Una delle varianti compositive che conosciamo si trova in una collezione privata di Venezia, in passato nella collezione Brass (olio su tela, 119 × 96; Ivanoff, Zampetti 1980, p. 592, nn. 400, 575, ill.). Tra i disegni si possono citare i fogli del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe agli Uffizi di Firenze (Muraro 1953, fig. 13), dell’Accademia di San Luca a Roma, del British Museum a Londra, del Szépmüvészeti Múzeum a Budapest (Fenyö 1965, p. 95).

Probabilmente, fu proprio la composizione moscovita a essere riprodotta in un’incisione da Hendrik Goltzius (Bartsch 1803-1821, 3, (1803), p. 81, n. 266; Bartsch – TIB 1978-1995, III (1980), p. 232, n. 266 - 81). Non si può affermarlo con certezza, perché nell’incisione vi sono delle discordanze rispetto al dipinto. Per questo motivo Strauss (1977, n. 335, ill.) avanzò l’ipotesi che l’incisione di Goltzius fosse stata realizzata sulla base di un disegno di Palma non pervenutoci, ma che Carel van Mander aveva visto a Venezia. A questa opinione si è associata anche Mason Rinaldi (1984), che metteva in dubbio il fatto che l’incisione di Goltzius fosse legata al quadro del Museo Puškin. Tuttavia, la dicitura presente sull’incisione coincide con alcune circostanze storiche legate alla genesi del quadro, in particolare con il fatto che il quadro sia stato dedicato dall’artista all’amico Alessandro Vittoria (dedicato ad «Alexandro Victorio Insigni Statuario et Architecto... Jacobus Palma Invent. H. Goltzius sculpt. Cum Privil. Sa. C. M. Anno 1596»).

Sulla base della documentazione riportata sopra, il dipinto può essere datato al 1594.

Provenienza: A partire dal 1820 circa, a giudicare dalla scritta a tergo, il quadro doveva trovarsi a Pietroburgo; è stato consegnato al Museo Puškin nel 1928 dall’OGPU (sigla che sta per Direzione politica unitaria dello Stato, e indica gli organi della polizia politica sovietica).

Bibliografia: Ridolfi 1648, II, p. 184 (1837, II, p. 396); Mseriantz 1938, pp. 38, 39, 43, ill.; Ciampi 1960, p. 6 (il luogo di collocazione del quadro non è indicato); Fenyö 1965, p. 95; Grassi 1968, р. XXIII, tav. I; Strauss 1977, n. 335, ill.; Ivanoff, Zampetti 1980, pp. 546, 674, n. 128, ill.; Pallucchini 1981, p. 35, fig. 50; Mason Rinaldi 1984, p. 96, n. 174, fig. 242; Markova 1992, p. 155, ill.; Goltzius 1993, pp. 190, nn. 115, 215, N. 139; Cat. Museo Puškin 1995, pp.108, 109, ill.; Markova 2002, I, pp. 173-175, n. 96.

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