PAOLO PAGANI
IL MENDICO LAZZARO
Sul verso della tela appaiono una vecchia etichetta di carta con il numero «LIX» e un piccolo sigillo di ceralacca di forma quadrata, con la raffigurazione di una corona; sul telaio, un’etichetta di carta con numero e la dicitura: «65 fay Splendy» (si rileva anche una firma illeggibile).
La parabola evangelica da cui è tratta la raffigurazione (Lc 16,19-31), descrive la sorte che attende nell’aldilà giusti e peccatori. Un mendicante di nome Lazzaro si sfamava con le briciole che cadevano dalla mensa del ricco, giaceva alla sua porta e i cani gli leccavano le piaghe. Dopo la morte, Lazzaro fu portato dagli angeli «nel seno di Abramo», mentre il ricco, che aveva trascorso la vita tra agi e banchetti, precipitò nell’inferno, e fu condannato ai supplizi eterni.
Com’è caratteristico della pittura italiana del XVII secolo, il mendicante Lazzaro è raffigurato alla porta della casa del ricco, con la sacca dell’elemosina e il sonaglio dei lebbrosi, mentre i cani leccano le sue ulcere (Pigler 1974, I, pp. 375-376).
Il quadro della collezione moscovita era considerato opera di Ribeira; giunse al Museo Puškin sotto il nome di Gianbattista Langetti e fu in un primo tempo indicato come Figura seduta di sconosciuto. A stabilire la sua attribuzione a Paolo Pagani fu B.R. Vipper, allora vicedirettore del museo (verbalmente, probabilmente verso la fine degli anni cinquanta).
L’opera di Pagani, di cui per primo si occupò Voss (1929), non è stata finora studiata abbastanza in profondità. Le straordinarie qualità artistiche del quadro moscovita gli assicurano un posto di rilievo tra le opere di questo eccellente pittore, nella cui opera si osserva una fusione senza pari di tradizioni artistiche lombarde, emiliane e veneziane.
La figura di Lazzaro resa «di sottinsù», modellata da un energico chiaroscuro, e il colorito bruno-grigiastro sono caratteristici delle opere di Paolo Pagani e si trovano in composizioni come la Maddalena penitente della Gemäldegalerie di Dresda, la Discesa agli inferi del Museo Civico di Como, il Sacrificio di Abramo di palazzo Salvione a Venezia e l’Amore paterno di una romana, in una collezione privata di Genova (Pallucchini 1981, figg. 1231-1234).
Nonostante le notevoli difficoltà che si incontrano nel datare le opere di Pagani, si ritiene che il Mendico Lazaro insieme alla Maddalena di Dresda appartengano a un gruppo di opere relativamente giovanili dell’artista. Fossaluzza (Paolo Pagani 1998) riteneva che la tela moscovita facesse da pendant al San Girolamo della collezione dei duchi del Lichtenstein a Vaduz (olio su tela, 117,6 х 149,3). L’ipotesi non appare convincente, come del resto il tentativo di inserire il quadro del Museo Puškin tra le opere giovanili. Contrasta infatti con questa attribuzione la straordinaria maturità rivelata dalla composizione, in cui Pagani dimostra di aver assimilato profondamente le tradizioni delle diverse scuole. L’ha confermato anche il restauro della tela, effettuato nel 2002 presso il Museo Puškin, che ha liberato la superficie pittorica dallo strato di vernice scurita.
Provenienza: Nel 1924 è giunto dal Museo Rumjancev.
Mostre: 1961 Mosca, cat. p. 48.
Bibliografia: Burri 1982, p. 65; Markova 1982, p. 25-26, fig. 39; Markova 1992, p. 268, ill. 269; Morandotti 1993, p. 92; Cat. Museo Puškin 1995, pp. 184-185, ill.; G. Fossaluzza, in Paolo Pagani 1998, pp. 22, 28, 38 ill. nn. 14, 39, 47, 96, 104; Markova 2000b; Markova 2002, II, pp. 225-226, n. 197.