VERONESE
studio del
RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO
Si evidenzia uno strato di vernice protettiva scurita e sporca.
Sul recto a destra in basso è riportato in rosso il numero del Catalogo dell’Ermitage del 1797: 584.
Sul verso della tela è stampato il numero dell’Inventario dell’Ermitage del 1859: 2203; e l’etichetta: n. 64; si rileva inoltre a destra in alto un sigillo rosso a ceralacca.
Il soggetto riprende l’episodio di Mt 2,13-15. Nella narrazione vengono impiegti anche motivi del Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo (XIII), popolare nel XVI secolo, soprattutto nell’arte della Controriforma. La Vergine Maria con il Bambino fra le braccia è raffigurata seduta sullo sfondo di un paesaggio sotto una palma, i cui rami erano simbolo del martirio cristiano. Un angelo piega i rami, perché i viandanti possano raccogliere i frutti (secondo un’altra variante, la palma avrebbe inclinato essa stessa i rami, in obbedienza al volere del Bambino).
Una composizione del Veronese su questo tema viene menzionata da Carlo Ridolfi (Ridolfi 1648, I, p. 322), mentre descrive la collezione di Felice Pallavicino a Genova: «...& altre due tele dal Signor Felice Pallavicino della fugo di nostra Donna nell'Egitto e di Cristo tra Dottori».
Sotto il nome di Paolo Veronese il quadro venne incluso nell’elenco stilato da Štelin delle opere più ragguardevoli acquisite dall’Ermitage fra il 1766 e il 1768: «Paolo Veronese (Caliari). Riposo di Maria e Giuseppe e il Bambino Gesù durante la fuga in Egitto. Maria, seduta sull’erba, sorregge il Bambino Gesì, ritto e con un pezzetto di pane in mano. Sul terreno è spiegata una tovaglia, con un pezzo di pane. Alle spalle della Madre di Dio un angelo che offre un ramo d’ulivo e dei frutti, e dall’altra parte Giuseppe. Altezza 41½ pollici, larghezza 32. Dallo studio del sig. Julien» (Štelin 1990, II, p. 127).
Caliari (1888) menzionava il quadro del Museo Puškin tra le opere dello stesso Veronese; la sua paternità non venne messa in dubbio neppure all’Ermitage, nei cui cataloghi (1912) si cita un rimando a Lionello Venturi, che attribuiva il quadro alla scuola del Veronese. Benois nella Guida all’Ermitage del 1910 (Benois 1910) osservava che il dipinto «dà un’idea della sontuosità del Veronese, della maestria con cui costruisce le masse». Nel Museo Puškin pervenne sotto il nome di Giovanni Battista Zelotti; nel registro inventario del museo c’è questa scritta: «passava per opera di Paolo Caliari (Veronese)». Fiocco (1934), Berenson (1957; 1958), Bucarelli (1935), Morassi (1935) e Vertova (1952) lo ritenevano un’opera dello stesso Veronese e lo attribuivano al periodo senile della sua attività. Lazarev (verbalmente) lo attribuiva a Paolo Farinati.
Nella pubblicazione di Vertova (1952), la tela della collezione del Museo Puškin viene denominata una variante di una grande composizione dell’ultimo periodo, conservata nel Museo d’arte Ringling a Sarasota (234,3 х 160,6; inv. 82), che in realtà è simile solo per il soggetto, ma se ne discosta notevolmente per struttura compositiva. L’opera del Museo Puškin assomiglia a un’altra composizione, che in passato era nella collezione Borletti di Milano (olio su tela, 154 х 166), come aveva già ossservato Bucarelli (1935). Rispetto alla composizione della collezione Borletti il quadro moscovita ha un formato più sviluppato in verticale, e invece di due angeli ce n’è uno solo a piegare i rami di palma, raffigurato non al centro ma a sinistra della Madonna. Il quadro della collezione Borletti viene riconosciuto all’unanimità dalla critica, a cominciare da Fiocco (1934, р. 114), come appartenente al pennello dello stesso Veronese, e riferito al 1585 circa.
Una composizione analoga si trova in una collezione privata di Londra (olio su tela, 157 х 160; Pignatti, Pedrocco 1995, pp. 442-443, n. 335). Pignatti, che fu il primo a pubblicarla (Pignatti, Crombie 1982, pp. 140-145), la riteneva un’opera uscita dalle mani dello stesso Veronese, cronologicamente precedente la versione Borletti. Tuttavia, dalle fotografie sembra una replica più grossolana di quest’ultima. Inoltre, la figura di Giuseppe, ritratta di spalle nel quadro del Museo Puškin, si incontra anche in una piccola composizione di una collezione privata di Londra (olio su tela, 44,5 х 76,5; Pignatti, Pedrocco 1995, p. 444, n. 337).
Il livello esecutivo della tela moscovita è di gran lunga inferiore alle opere del Veronese. La maniera pittorica rivela una somiglianza con i dipinti di Benedetto Caliari, che lavorava in stretta collaborazione con Veronese, come osservava Pignatti (1976), che molti anni fa dopo avrebbe riaffermato la propria posizione (Pignatti, Pedrocco 1991; 1995). Anche Cocke (1977) aveva dei dubbi sull’attribuzione a Veronese.
Secondo la testimonianza di Liphart (Cat. Ermitage 1912), il quadro un tempo faceva parte della serie delle tele di Veronese che si trovavano a Palazzo Pitti, a Firenze.
La composizione fu riprodotta in un’incisione di Podolinskij (Labensky 1809).
Provenienza: Dallo studio del signor Julien, a Parigi; fra il 1766 e il 1768 venne acquisito da Caterina II per l’Ermitage; dal 1924 si trova al Museo Puškin.
Materiali d’archivio: Cat. Ermitage 1773, n. 2114 (qui e di seguito, Paolo Veronese); Cat. Ermitage 1797, n. 584; Inventario Ermitage 1859, n. 2203.
Bibliografia: Cat. Ermitage 1774, p. 15, n. 168 (qui e di seguito, Paolo Veronese); Labensky 1809, II, fascicolo 3, рp. 53-58, tav. II (riprod. del quadro in un’incisione); Notices sur les tableaux, 1828, n. 3, pp. 24-25; Livret, 1838, p. 286, n. 56 (presumibilmente il quadro del Museo Puškin, non coincidono le misure); Viardot 1844, р. 481; Somov 1859, p. 47; Cat. Ermitage 1863, p. 40, n. 140 (il numero si è conservato in tutti i cat. Ermitage fino al 1916); Cat. Ermitage 1863, p. 34; Waagen 1864, p. 71, n. 140; Siret 1866, p. 157; Cat. Ermitage 1869, p. 56; Cat. Ermitage 1869, p. 56; Andreev 1862, I, p. 144; Cat. Ermitage 1885, p. 56; Cat. Ermitage 1888, p. 56; Caliari 1888, рp. 216, 389; Cat. Ermitage 1889, p. 67; Cat. Ermitage 1891, p. 43; Cat. Ermitage 1892, p. 51; Cat. Ermitage 1895, p. 51; Cat. Ermitage 1899, p. 52; Cat. Ermitage 1901, p. 54, n. 140; Kurbatov 1903, s.p., ill.; Cat. Ermitage 1908, p. 17; Benois 1910, p. 78; Cat. Ermitage 1912, p. 76; Album Ermitage 1912, p. 44, ill.; Cat. Ermitage 1916, p. 16; Greč 1925, p. 161; Fiocco 1934, р. 121; Bucarelli 1935, II, р. 253 (qui e di seguito, come appartenente all’Ermitage); Morassi 1935, р. 251; Vertova 1952, s.p. (Veronese, variante del quadro di Sarasota; come appartenente all’Ermitage); Berenson 1957, I, p. 132 (qui e di seguito, Veronese); Berenson 1958, I, р. 136; Piovene, Marini 1968, p. 96, n. 53, ill. (qui e di seguito, Veronese); Béguin, Martini 1970, p. 96, n. 53; Pignatti 1976, I, p. 197, n. A. 212; II, fig. 895 (nello spirito di Carletto; Cocke 1977, p. 786 (Bottega di Veronese); Hadeln 1978, p. 140, n. 195; Pignatti, Crombie 1982, p. 143 (variante della composizione della coll. Borletti, dipinta con la partecipazione della bottega del Veronese); Štelin 1990, II, p. 127 (Paolo Veronese); Pignatti, Pedrocco 1991, n. 240 (con la partecipazione della bottega del Veronese, forse di Carletto Caliari); Markova 1992, pp. 150-152, ill. (qui e di seguito, bottega di Veronese); Cat. Museo Puškin 1995, pp. 90-91, ill.; Pignatti, Pedrocco 1995, pp. 320, 480, n. 381 (Bottega del Veronese; presumibilmente Carletto Caliari); Benois [anno?], p. 42, 242; Markova 2002, pp. 121-123 , n. 59.